Padova, 12.03.2009

Giornata di studio in occasione dell’inaugurazione del Centro interuniversitario di Storia culturale


Storia culturale dell’Europa centro-orientale: un percorso specifico

Stefano Petrungaro

Università di Padova, Dipartimento di Storia

 

Proviamo a guardare questa giornata con gli occhi di un polacco. O di un francese che studi storia bulgara. Come risuonano cioè le riflessioni su canoni, criteri di demarcazione e problematiche della storia culturale quando essa è riferita all’Europa centro-orientale? 

Il “riferimento” è come minimo duplice: stiamo parlando di una storia che può essere dell’Europa orientale nel senso che è nell’Europa orientale e/o sull’Europa orientale. Occorrerebbe quindi interrogarsi su come sia praticata la storia culturale, indipendentemente dal suo oggetto di ricerca, nelle istituzioni accademiche europeo-orientali, e al contempo vedere come sia lì che nel resto del mondo sia declinata la storia culturale quando indaga lo spazio europeo-orientale. Ancora una volta “oggetto” e “metodo” quali gangli della riflessione. Inevitabile, d’altronde: pur focalizzandosi su un’area d’indagine specifica, che è insieme spaziale e tematica, i tormenti di fondo della storiografia contemporanea rimangono quelli.

Ma lo storico, si sa, è dannatamente attratto dalla specificità. E allora proviamo a delineare il percorso specifico della storia culturale dell’Europa orientale, prendendo le mosse dalla sua istituzionalizzazione. Quanta “storia culturale” c’è dal punto di vista formale nell’Europa centro-orientale? Ho fatto un test e ho virtualmente bussato alle porte delle principali università della Slovenia, scelto perché è un paese che si distingue nel panorama dei paesi ex socialisti per il fermento metodologico in campo storiografico e non solo. Ho trovato così che all’Università di Capodistria esiste un «dipartimento di studi culturali», ma senza che figuri in alcun modo la voce “storia culturale” nel titolo di corsi di laurea o insegnamenti1. Ciò è quanto avviene invece all’Università di Nova Gorica2, così come pure in quella di Lubiana3. In un contesto come quello sloveno, quindi, la storia culturale è in qualche modo presente, di fatto come formalmente. 

Ho virtualmente visitato altri atenei e segnatamente quelli di Cracovia4, Varsavia5, Zagabria6, Belgrado7, Sofia8. Le mie superficiali incursioni nei siti e nei programmi d’insegnamento di quelle università andrebbero certo approfonditi. L’obiettivo comunque non era quello di riferire dell’intera galassia storiografica dell’area, abitata anche da studiosi eccellenti e aggiornatissimi. Andavo piuttosto alla ricerca della “storia culturale” ufficializzata, e se sto prestando tutta questa attenzione, più che alla cosa, al suo nome, è perché la presenza o meno di una denominazione ci dice qualcosa circa la sua affermazione accademica e quindi ci interessa, perché offre materia di riflessione. Detto questo, l’impressione generale che ho ricavato dalle mie incursioni è che a livello formale-istituzionale né gli studi culturali né la storia culturale si sono affermati accademicamente, al punto che nelle titolazioni (di corsi di laurea e insegnamenti) è molto difficile incontrare il sintagma “storia culturale”. E quando lo si incontra, sorgono sospetti circa il suo contenuto, che spesso sembra essere più vicino a una più tradizionale storia della cultura. 

Un modo per testare le sensibilità collettive è quello di gettare uno sguardo a Wikipedia. Presa da sola la fonte certo non basta a dedurre conclusioni solide e generalizzabili, ma ci dice qualcosa delle temperie culturali dei vari paesi. Ebbene, in Wikipedia in numerosissime lingue la voce «storia culturale», benché annunciata da un link, manca: cliccando, si apre una pagina bianca. Questo vale per il macedone, il ceco, lo sloveno (nonostante tutto), il rumeno, il russo. 

Il lemma è invece affrontato in inglese, spagnolo, francese, in tedesco (che batte tutti, perché ha anche, unico, la voce «nuova storia culturale»), ma c’è anche in turco e in molte altre lingue, incluse un paio scritte con ideogrammi. Forse vi state chiedendo come siamo messi in italiano? Beh, non c’è. L’Italia sembra insomma continuare, nella tradizione dei paesi late comers, ad appartenere all’Europa centrale.

Torniamo proprio in quell’Europa centrale dove è possibile, seppur con qualche fatica, incontrare la storia culturale, più frequentemente associata alla storia sociale e all’antropologia storica, e chiediamoci che cosa si insegni sotto quelle etichette. È impossibile fornire una risposta generale. Da un’occhiata ai programmi di esame e alle bibliografie di riferimento, l’impressione è che si ripropongano tutte le questioni generali a noi note, perché comuni. A ciò verrà di certo aggiunto un qualcosa in più di peculiare, che dipende dal singolo studioso e dal contesto in cui opera. Ciò avviene in modo particolare quando l’oggetto d’indagine o la materia d’insegnamento sono legati alla realtà storica locale. Ma se di «storie culturali» abbiamo incontrato qualche traccia, non lo stesso si può dire per le storie culturali che fossero al contempo nell’Europa centro-orientale e dell’Europa centro-orientale. Ne ho trovata, a dire il vero, una sola, a Budapest, in quella Central European University che non è per nulla rappresentativa del contesto scientifico centro-europeo9

Qual è allora la situazione a questo riguardo nel “resto del mondo”? Vedrò di farla molto breve: l’istituzione che va per la maggiore, quando ci si vuole occupare di mondo slavo, Europa orientale e via dicendo, è quella dei cosiddetti «studi», un’espressione che grazie alla sua genericità permette di abbracciare quel che si vuole. Russian studies, South-Eastern European studies e via dicendo, sotto forma sia di corsi di laurea magistrale e simili, sia di “centri” (di cui uno anche in Italia, a Bologna10). Questi centri spesso si affiancano a dipartimenti universitari, inclusi quelli di storia. In questa conglomerato istituzionale, volendo dare un giudizio complessivo, direi che la storia culturale è molto presente, ma in questo settore non emerge come disciplina autonoma. 

Se proviamo a chiamarla, la «storia culturale dell’Europa centro-orientale» non sembra essersi istituzionalizzata granché. È però sempre presente, in buona compagnia, anzitutto della storia «sociale», ma anche di quella «intellettuale». I ricercatori rivolti all’Est Europa non solo dichiarano, ma ampiamente praticano la nuova storia culturale in tutte le sue declinazioni, solo che non tengono più di tanto a differenziarla radicalmente dagli altri orientamenti storiografici e tantomeno a dichiarare di dedicarvisi esclusivamente. Non lo fanno loro nelle loro pagine web personali, né lo fanno le istituzioni cui appartengono. Di conseguenza, estremamente rari sono i corsi denominati «storia culturale dell’Europa centrale/orientale»: ne ho trovato uno, a Londra, alla School for Slavonic and East European Studies11, e uno a Parigi, Università Sorbonne Nouvelle Paris III12.

Come si è reagito allora istituzionalmente in questo settore a certi fermenti e dibattiti avvenuti nelle scienze sociali e umanistiche, pensando in modo particolare a quelli che riguardano da vicino la storia culturale? Direi che la reazione istituzionale più frequente è stata la fondazione di centri, dipartimenti e corsi di laurea in «studi culturali», nei quali convogliare un po’ di tutto, inclusa la storia (non necessariamente e non solo culturale). Oltre a situazioni onomasticamente elastiche, come il «dipartimento di lingue e culture est-europee» della SSEES di Londra13, sono stati fondati alcuni centri di «studi culturali est-europei», come ad esempio a Bristol14

Il tentativo più ambizioso di teorizzazione  di questo campo disciplinare e della sua autonomia è venuto da chi ricopre la prima cattedra del genere fondata in Germania, ossia Stefan Troebst, di formazione storico. La cattedra di «Studi culturali sull’Europa centro-orientale» è stata istituita nel 1997 presso l’Università di Lipsia, e non è un caso che ciò sia avvenuto proprio in quella città, che vanta una lunga e prestigiosa tradizione di studi multidisciplinari rivolti all’Europa centro- e sud-orientale15.

In quello che è un vero e proprio “manifesto” degli studi culturali est-europei16, leggiamo che le loro peculiari sfide sono rappresentate anzitutto dalla delimitazione rispetto a una serie di discipline contigue, pensando anzitutto alla slavistica e alle altre scienze letterarie interessate all’area, come pure le discipline sociali, giuridiche e politologiche che occasionalmente rivolgono la propria attenzione a quelle regioni, per non parlare di discipline umanistiche come la teologia e la storia che hanno sviluppato persino subdiscipline regionali. Torna utile allora affrontare subito la specificità dell’oggetto d’indagine: è la cultura in senso molto lato, implicando un considerevole ampiamento rispetto agli studi letterari e filologici. Di quegli studi occorrerà necessariamente avvalersi, ma prendendo solo quel che serve. Una difficoltà risiede nel fatto che la slavistica, ragionando non regionalmente, bensì linguisticamente, estende il proprio campo di indagine all’intero spazio slavofono, mentre altre discipline linguistico-letterarie, con cui pure è indispensabile interagire, si limitano a regioni più piccole, come è il caso del ramo orientale della filologia romanza, che copre il territorio moldavo, romeno, balcanico e il sud-ovest ucraino.

Per quanto attiene alla metodologia, si ritengono fondamentali la comparazione e una densa varietà d’approcci, ossia una profonda multidisciplinarietà (altro punto in più rispetto alle varie discipline che già si occupano di queste aree). il rapporto con gli area studies, prevalentemente novecenteschi

Tra gli obiettivi degli studi culturali, tra il resto l’indagine della rappresentazione e percezione (auto- e etero-) di queste aree, mirando a una loro “de-orientalizzazione”, detto altrimenti, mirando a una “de-occidentalizzazione” dell’Europa occidentale quando è intesa come norma.

Ma qui non possiamo più rimandare un problema che si è posto fin dal titolo di questa mia comunicazione, ossia la delimitazione dell’area intesa come “Europa centro-orientale”. In linea generale, occorre pensare a un’area ampia dai confini porosi e flessibili, osservati con un’ottica storica e quindi dinamica. L’area può essere sbalzata anche seguendo il suo rapporto con altre macroregioni europee, anzitutto la limitrofa “Russia”, lo “spazio baltico”, quello “balcanico” e l’“Europa occidentale”; ma anche in rapporto ad altre unità metageografiche, come l’“Oriente”, la “Scandinavia” o l’“Europa” stessa.

Quando sono in gioco i grandi spazi, sono in gioco anche le loro rappresentazioni. Da anni gli storici del settore si confrontano con gli studi sulle cosiddette mental maps, le mappe mentali e cognitive che orientano non solo le nostre percezioni, ma anche le nostre azioni e, non da ultimo, i nostri studi. Un ampio lavoro di scavo ha portato alla luce, ad esempio, i profondi meccanismi che nel corso degli ultimi due secoli hanno dato corpo all’idea di «Europa orientale», di «Mitteleuropa», di «Balcani»17

A questo riguardo la corporazione degli storici dell’Europa centro-orientale registra due fazioni: la prima difende la “realtà” di quelle categorie spaziali, ricercando le peculiarità strutturali a livello sociale, economico, demografico, religioso e culturale. Tra le mani avremmo quindi la quarta tra le macroregioni storiche esteuropee, insieme al Sudest, il Nordest e la Russia18.

Gli altri, invece, convinti della natura del tutto “costruita” di quelle categorie, procedono ad accurate comparazioni infra-europee, mostrando come ciò che è spesso individuato come una peculiarità di un’area, rivela essenziali analogie con altre situazioni europee assai lontane geograficamente, in ogni caso fuori della presunta “area di mezzo levantina”19. Per orientarsi nell’analisi, meglio abbandonare, secondo questi studiosi, i punti cardinali. La bussola più utile sarebbe quella impostata su due parametri, il “centro” e “la/le periferia/e”.

Se di questi ragionamenti prendiamo quel che può interessare,  e mi sembra ci sia molto, allo storico culturale dell’Europa centro-orientale, ma anche dell’Europa orientale e sud-orientale in senso lato, abbiamo l’esempio di quelle che sono alcune sfide peculiari poste dall’area indagata. 

L’estensore del manifesto a favore di studi culturali specifici per l’Europa centro-orientale ne deduce che si fa ancora più sensata la promozione di simili indagini. Perché gli studi dell’area vanno de-ideologizzati, abbandonando un’ottica gerarchica che legge i paesi dell’Europa occidentale come un (superiore) modello. Perché quei paesi condividono alcuni capitoli storici importanti, si pensi solo alle esperienze socialiste e alle successive transizioni postsocialiste. Perché il concetto di “Europa centro-orientale” è un elemento cruciale dell’auto- come dell’etero-percezione.

È intorno a questi nodi tematici, e ad altri che non ho menzionato, che si può articolare una storia culturale di quelle aree20.  Rimangono, a monte, le dense questioni relative in generale al rapporto tra la nuova storia culturale e gli altri rami della disciplina, passati e presenti. Le brevi osservazioni che ho riportato all’inizio, circa la peculiare istituzionalizzazione della storia culturale esteuropea, ci dicono molto a riguardo. 

Nel campo storico esteuropeo si ripropongono quindi i problemi richiamati dalle relazioni che mi hanno preceduto. Gli storici dell’Europa orientale danno il loro contributo a questa sana confusione. Anzi, generalmente invasi da benevoli stereotipi nei confronti dei popoli che studiano, a loro piace impersonare un atteggiamento rude, irriverente, perché un po’ barbaro. La speranza è che tra danze, bevute e colpi di kalashnikov, emerga qualche spunto interessante per le questioni qui oggi dibattute.

1 http://www.fhs.upr.si/index.cgi?m=11&id=90.

2 All’Università di Nova Gorica c’è l’insegnamento di “storia culturale dello spazio sloveno” osservato nel lungo periodo (http://www.ung.si/si/studijski-programi/101809/132730/), nel quadro di un corso di laurea triennale in “storia culturale” (http://www.p-ng.si/si/studijski-programi/101809/)

3 Nel quadro del corso di studi in “storia  sociale e culturale” (http://www.ff.uni-lj.si/fakulteta/Studij/BolonjskiProgrami/DrugaStopnja/Predstavitveni%20zbornik%20ZGODOVINA%20-%20druga%20stopnja.pdf ).

4 http://jazon.hist.uj.edu.pl/ih/studiaprogram.html

5 http://www.ihuw.pl//content/section/12/246/lang,en/

6 Laurea triennale: http://www.ffzg.hr/pov/pov2/file.php?folder=6studosi&file=predmeti; laurea magistrale:http://www.ffzg.hr/pov/pov2/file.php?folder=2novi_prog&file=modul_moderna.

7 A Belgrado, laurea triennale, c’è un corso in storia culturale dell’impero romano (http://web.f.bg.ac.yu/index.php?option=modul&odeljenje=%D0%98%D1%81%D1%82%D0%BE%D1%80%D0%B8%D1%98%D0%B0&sid=73&id=2796&iid=7710), e del Medioevo (http://web.f.bg.ac.yu/index.php?option=modul&odeljenje=%D0%98%D1%81%D1%82%D0%BE%D1%80%D0%B8%D1%98%D0%B0&sid=73&id=2387&iid=7910).

8  Laurea triennale: http://www.uni-sofia.bg/index.php/bul/fakulteti/istoricheski_fakultet/specialnosti/ bakalav_rski_programi/istoricheski_fakultet/istoriya;  laurea magistrale: http://www.uni-sofia.bg/index.php/bul/fakulteti/istoricheski_fakultet/specialnosti/ magist_rski_programi.

9 La titolazione completa è Cultural and Social History of Eastern Europe, (http://www.hist.ceu.hu/?q=node/300).

10 Istituto per l’Europa centro-orientale e balcanica, Università di Bologna, sede di Forlì (http://www2.spfo.unibo.it/balkans/eurobalk.html); nello stesso ateneo è attiva un corso di laurea magistrale in Interdisciplinary research and studies on eastern europe (http://www.spfo.unibo.it/Scienze+Politiche+Forli/Didattica/LaureeMagistrali/2008/PaginaCorso20088049.htm).

11 http://www.ssees.ac.uk/prospect/klautke.htm. Anche alla Freie Universität di Berlino, nel quadro del corso magistrale in Studi est-europei, figura la materia «cultura», ma l’impressione è che si tratti di una più tradizionale “storia delle culture” (http://www.oei.fu-berlin.de/studiumlehre/master/studiengang/index.html). Lo stesso valga per il corso nominalmente di «Storia culturale dell’Europa centrale e centro-orientale» all’Università di Bremen (http://www.kultost.uni-bremen.de/kissel.html).

12 Presso l’Università Sorbonne Nouvelle Paris III, Ecole doctorale «Espace européen contemporain» (http://ed385.univ-paris3.fr/pages/svetlamoussakova.htm).

13  Department of East European Languages and Culture;  http://www.ssees.ac.uk/eelc.htm.

14 .Centre for Russian and East European Cultural Studies, presso la University of Bristol, Department of Russian Studies, dove è attivo anche un MA in Russian and East European Cultural Studies (http://www.bristol.ac.uk/russian/postgrad/pgcult.html ).

15 Kulturstudien Ostmitteleuropas, Philologische Fakultät der Universität Leipzig (http://www.uni-leipzig.de/~slav/alte-homepage/ai/ikultst.htm ). 

16 Stefan Troebst, Was sind Kulturstudien Ostmitteleuropas?, in Id., Kulturstudien Ostmitteleuropas. Aufsätze und Essays, Peter Lang, Frankfurt a.M. 2006, pp. 15-26.

17 Per un’introduzione critica si può vedere S. Petrungaro, L’Europa dell’Est, o a est dell’Europa. In margine a un dibattito intorno a mental maps, confini e balcanismo, in «900. Per una storia del tempo presente», 10, 2004, pp. 77-86.

18 Holm Sundhaussen, Der Balkan als historischer Raum Europas, in “Geschichte und Gesellschaft”, 1999/4, pp. 626-653

19 Michael G. Müller, In cerca dell'Europa: realtà e rappresentazioni di un continente, in “Contemporanea”, 1999/1, pp. 81-87; Maria Todorova, The Trap of Backwardness: Modernity, Temporality, and the Study of Eastern European Nationalism, in «Slavic Review», 64, 2005/1, pp. 140-164.

20 Lo conferma Steven Totosy de Zepetnek, Comparative Cultural Studies and the Study of Central European Culture. Theory and Application:www.kakanien.ac.at/beitr/theorie/STotosy1.pdf (originariamente apparso in Id. (ed.), Comparative Central European Culture, Purdue UP, West Lafayette 2002, pp. 1-32).